La clamidiosi è una delle patologie più frequenti degli uccelli e, in generale, dei pappagalli. È causata da un batterio, chlamydophila psittaci, di cui i pappagalli possono essere anche portatori sani. In caso di stress, malnutrizione o patologie sottostanti che determinano un indebolimento delle difese immunitarie si può avere la comparsa conclamata della malattia.
La sintomatologia è varia e generalmente determina congiuntivite, rinite, aerosacculite, disturbi gastroenterici, epatiti e nefriti. Nelle forme croniche è possibile evidenziare anche insufficienza epatica cronica, fibrosi epatica e ascite. La certezza diagnostica non è semplice da raggiungere poiché i test che ricercano gli anticorpi specifici, anche se segnalano la positività, non indicano una malattia in corso ma solo la presenza di anticorpi.
Il test pcr del DNA della clamydophilia consente solo di classificare il volatile come eliminatore ma non come malato di clamidiosi. Tuttavia questi esami sono molto utili poiché insieme ad un esame radiografico, ad una elettroforesi e ad un emocromocitrometrico (evidenza grave leucocitosi) si riesce a giungere ad una diagnosi. La terepia prevede l’utilizzo di antibiotici come la doxiciclina che ha maggiore azione contro il patogeno e ridotti effetti collaterali sulla flora intestinale. Si sconsiglia la somministrazione di calcio durante la somministrazione delle tetracicline a causa del legame che avviene con questo minerale perciò è preferibile rimuovere osso di seppia, integratori o blocchetti minerali.
Vista la frequenza della malattia è raro che un pappagallo non venga mai in contatto con il patogeno. Nel caso in cui si desideri introdurre un nuovo soggetto nell’ambiente è bene verificare che non sia un eliminatore o un possibile portatore effettuando test antigenici e anticorpali. Offrire una dieta corretta, evitare fattori di stress e non somministrare trattamenti antibiotici senza un motivo valido sono tutte misure necessarie per evitare l’insorgenza della malattia.